Il Rhum, quello con l’acca, un mondo da scoprire, parlando un accento francese.
Dici Caraibi e il pensiero va a spagnoli e inglesi: i primi “conquistadores” del Nuovo Mondo, i secondi abili mercanti capaci di organizzare lucrosi traffici di preziose derrate per rendere onori e ricchezze a Sua Maestà e alla Corona. Ma la storia delle Antille – le isole disposte a semicerchio, divise in arcipelaghi nel Mar dei Caraibi – passa anche da Parigi. Nella prima metà del 1600 militari e coloni francesi si stabilirono sull’isola di Hispañiola, a Santo Domingo e nell’attuale territorio di Haiti, e quindi, a macchia di leopardo, colonizzarono le piccole Antille: Martinica, Guadalupe, Dominica, Marie Galante, St. Lucia. Qui introdussero colture di caffè e cotone, e di canna da zucchero. Dai residui della produzione dello zucchero si otteneva un succo fatto poi fermentare e quindi distillato – secondo i tradizionali metodi utilizzati in patria per la preparazione del Cognac – per produrre un liquido chiamato tafia o guildive, gli antesignani del Rhum.
Il primo riferimento alla produzione di un distillato di canna alle Antille risale al 1639: un “privilegio”, cioè un’esclusività di 10 anni, concesso dalla Compagnie des Isles d’Amérique al Monsieur Fagues per la produzione di un’acquavite a Saint-Christophe e in Martinica.
Tutto filò liscio sino al 1806. Quell’anno l’imperatore Napoleone Bonaparte, dopo la cocente sconfitta delle flotta francese nella battaglia di Trafalgar, promulgò l’editto di divieto assoluto di attracco, nei porti controllati dai francesi, di qualsiasi nave britannica. La decisione di Napoleone portò ben presto a una drastica caduta della disponibilità di zucchero in Francia a cui fece il pari l’avvio della produzione del “oro bianco” dalle barbabietole. Il calo dei prezzi dello zucchero creò ai Caraibi una sovrapproduzione e la chiusura di molti zuccherifici. Questi eventi, apparentemente funesti, indussero i produttori di canna in Martinica, Haiti e Guadalupe a distillare non più gli scarti della produzione ma il puro succo di canna. Ecco nascere il rhum agricole, ben diverso, per caratteristiche e specificità, dal rhum industrielle – così etichettato in maniera dispregiativa – prodotto dalla melassa.

La produzione del rhum in Martinica cambiò drasticamente dopo l’8 maggio 1902. Quel giorno il vulcano che domina l’isola, la montagna Pelée, esplose. Ceneri, gas infuocati, enormi massi piombarono sulla città di Saint-Pierre. Tutti i 30.000 abitanti morirono all’istante – la leggenda dice che a salvarsi miracolosamente furono solo in due – e le distillerie presenti sull’isola furono distrutte. La ricostruzione della capitale portò a un rinnovamento della coltivazione delle canna da zucchero e, soprattutto, indusse un nuovo modo di coltivare la canna da zucchero e il passaggio definitivo all’agricole.
Il rhum in stile francese (scritto con la “h”) o “rum z’habitant”, come era chiamato nelle Indie occidentali francesi perché consumato, principalmente, dagli abitanti delle isole, è dunque il prodotto della fermentazione e distillazione del succo di canna: il “vésou” in lingua creola. Vicinanza delle piantagioni – il succo deve essere estratto poche ore dopo il taglio della canna – i metodi ancestrali di coltivazione e preparazione (come nel caso dei Clarin haitiani), l’utilizzo, quasi esclusivo di alambicchi a colonna, sono elementi che si ritrovano in un distillato intenso, deciso, spesso commercializzato “bianco”, senza affinamento, per lasciare il più possibile inalterato e leggibile, il gusto originale proveniente dalla materia prima.
Sono rhum aromatici, da gustare se possibile in purezza. Distillati da meditazione, utilizzati quasi con moderazione e rispetto in miscelazione per il loro carattere e aromi unici. Note vegetali, speziate e floreali si percepiscono subito al naso e in bocca. Un gusto molto caratteristico, tanto da aprire una disputa fra cultori del “agricole” ed estimatori del rum da “melassa”. Una tenzone, che in linea di massima, ha poco senso. Esistono ottimi di una e dell’altra categoria, così come distillati di scarso valore per entrambi. A ognuno il suo, verrebbe da dire.

È però abbastanza intuitivo come nel rhum agricole la canna da zucchero, la sua varietà, il luogo e il metodo di produzione e raccolta, siano fattori determinanti nelle costruzione della palette organolettica del distillato. E di questo i francesi sono maestri. In fondo sono loro ad aver introdotto il concetto di terroir e addirittura di cru per dare specificità ai vini prodotti in una determinata regione o villaggio. Quindi tutto il rum prodotto dalla distillazione del puro succo di canna è etichettabile come rhum agricole? Neanche per idea. Distillati come la Cachaca brasiliana, il Clarin haitiano o i nuovi rum di Grenada, ottenuti dalla stessa materia prima e con, quasi, lo stesso metodo, non sono, in senso stretto, degli agricole.
Il Regolamento UE 787/2019 definisce “agricoli” solo i rum prodotti da puro succo di canna da zucchero, un tenore di sostanze volatili almeno pari a 225 g/hLpa, senza aggiunta di zucchero e tassativamente prodotti in uno dei Dipartimenti d’Oltremare francesi: Martinica, Guadalupa, Guyana Francese, Reunion, e i territori dipendenti fra cui Marie-Galante e, unica aggiunta ai protettorati della République, nell’isola portoghese di Madeira.
In Martinica hanno fatto anche di più. Come ben sanno fare i francesi, hanno ristretto le maglie e frustrato le interpretazioni per introdurre l’Appellation d’origine contrôlée (AOC), il primo disciplinare, risale al 1996, nel mondo del rum a cui ha fatto seguito quello, meno vincolante, dei rhum IGP della Guadalupe.
La normativa indica i requisiti necessari per poter commercializzare un distillato con la dicitura Martinique AOC. Si va dalla varietà (“Saccharum officinarum” e “Saccharum spontaneum”) della canna da zucchero alle zone dei comuni dove deve essere coltivata e con quali tecniche. Sono regolamentati il periodo di raccolta e la resa per ettaro così come i processi di estrazione, fermentazione e distillazione, esclusivamente, in alambicchi a colonna alimentati a vapore (Colonna Creola). Infine, l’affinamento, con l’indicazione di sigle ben note agli amanti dei distillati francesi: Rum “élevés sous bois” per i meno invecchiati, i “VO” con minimo di 3 anni in botte di rovere, i “VSOP”, che si affinano per almeno 4 anni e gli “XO”, “Grande Réserve” o millesimati con un invecchiamento minimo pari ad almeno 6 anni.
Un disciplinare molto ferreo, per alcuni fin troppo. In Martinica alcuni produttori, come la distilleria A1710 di Yves Assier, sfuggono alle regole e producono rhum eccellenti fuori dall’AOC. Il merito dell’Appellation è comunque quello di selezionare e specificare metodi e tecniche per produrre rhum di qualità come quelli oggi in commercio e di contribuire alla costruzione di un brand riconoscibile. Il rhum in Martinica è molto più di una bevanda, è una vera tradizione e simbolo della cultura di convivialità e condivisione. Le otto distillerie attualmente attive producono 16 milioni di litri di rhum l’anno. Liquidi possenti e poderosi, con aromi di fiori e frutti che compongono il bouquet dei bianchi non affinati, nei quali l’eredità organolettica della canna da zucchero è molto evidente. Negli invecchiati entrano chiaramente le note speziate, vanigliate e legnose. I marchi più noti e apprezzati sono Saint James, distilleria nata nel 1765 a Trou Vaillant, sulle alture di Saint Pierre alle pendici della montagna Pélée, su terreni vulcanici che danno corpo e struttura ai rhum della casa. Fra i rhum di Depaz, altra maison storica in Martinica, spicca il Blanc Cuvee De La Montagne, prodotto con le canne provenienti da uno dei territori considerato fra i più vocati dell’isola. E ancora da provare i rhum di Clement, JM e Neisson, questi distillati nel noto alambicco Savalle. In Guadalupe da degustare assolutamente i rhum, di Papa Rouyo, Damoiseau, Karukera.

Distillati da gustare nel classico TiPunch: il cocktail, se vogliamo chiamarlo così, più gettonato nei Caraibi francesi, o in un sontuoso Daiquiri. Alcune preparazione Tiki sono esaltate dall’uso di rhum Agricole come il classico Mai Tai con rum agricolo bianco (4cl) unito a rum giamaicano (2cl), completato con Orange Curacao (1.5cl), sciroppo di orzata (1.5 cl) e succo di lime fresco (1 cl). O il Jungle Bird con la variante dell’utilizzo di un rhum agricole invecchiato (4.5 cl), bitter (2.5 cl), sciroppo di zucchero (1.5 cl), succo di lime (1.5 cl) e 12 cl di succo di ananas da preparare nello shaker e poi servire in un tumbler con ghiaccio tritato.
Le nuove frontiere del rhum agricolo sfuggono però ai disciplinari e alla zone di produzione canoniche. Pur non potendo essere annoverati fra gli agricole, i Clarin di Haiti (ne parleremo presto su SM) sono prodotti da puro succo di canna da zucchero e stanno crescendo nella considerazione degli appassionati, parallelamente all’incremento della loro qualità. Così come i rhum della distilleria Renegade a Grenada. Nato dalla volontà e dal talento del guru Mark Reynier, un visionario amante e conoscitore dell’arte della distillazione, il progetto rappresenta una rivoluzione nel mondo del rum. Nella piccola isola vicina a Trinidad è stata rilanciata la produzione di canna da zucchero in 14 fattorie, sotto la supervisione costante di Renegade. Nella filosofia: “From farm to bottle” sta l’essenza di queste produzioni. La canna utilizzata per la produzione del succo è selezionata fattoria per fattoria, terroir per terroir. Viene raccolta a mano e lavorata entro 24 ore dalla raccolta. La fermentazione è in vasca chiusa – una rarità da queste parti – con lieviti selezionati e la distillazione avviene in pot e column still progettati da Forsyths con un sistema di recupero dei vapori per la produzione di energia rinnovabile. Il processo è dunque totalmente tracciabile e viene riportato in etichetta con grande trasparenza a beneficio del consumatore. I rum di Renegade sono distillati da meditazione, sia nelle versioni pre cask sia in quella invecchiate in botti di rovere americano o in contenitori pregiati che hanno conosciuto, per anni, vini francesi da apoteosi come Château Lafitte e Château Latour. Una vera chicca.
TiPunch

Rhum, lime e zucchero. La semplicità fatta in un drink. È il metodo migliore per assaporare l’essenza del rhum agricole. Il “piccolo” punch – Ti è l’abbreviazione di petit – nato, si dice sull’isola di Marie Galante nel 1848 per celebrare la fine della schiavitù, è il cocktail più bevuto nei Caraibi francesi. Servito praticamente a ogni ora va gustato assolutamente in compagnia. Il rito della, facile, preparazione prevede l’utilizzo di un cucchiaino di zucchero di canna scuro – in alternativa si può usare dello sciroppo il sirop batterie, molto concentrato e preparato per evaporazione – e un quarto di lime, non schiacciato ma delicatamente spremuto con il pollice e l’indice e quindi posato nel bicchiere. Si mescola il tutto, senza fretta, con uno spoon o, se lo trovate con il bois-lelé, un ramoscello di legno a forma di elica che facilita la miscelazione del succo di lime con lo zucchero. A questo punto, passandosi l’un l’altro la bottiglia, i presenti aggiungono il rhum, di solito 4 o 5 cl, e il TiPunch è fatto. Il ghiaccio non ci vorrebbe ma se la temperatura lo richiede un paio di cubetti sono certamente concessi.