Tre fiorentini di razza hanno aperto una distilleria in città, dove producono spirits per terzi. Il frontman, Julian Biondi, consulente per diversi bar di Firenze, racconta la sua esperienza con i cocktail a base di grappa.

Con quei baffi un po’ così, la stazza e quel sorriso un po’ colì, Julian Biondi, barman fiorentino classe 1988, con oltre dieci anni di esperienza dietro i banconi della sua città, ha molto da dire sulla grappa. Con alcune riserve, almeno nell’ambito della mixology. “Love local thing global”, è il suo manifesto sostenibile, lui che con altri due “spirit cowboys”, Stefano Cicalese e Matteo de Ienno, nel 2022 ha aperto la prima distilleria a Firenze, dal nome Fermenthinks, “con il fine di sviluppare una cultura di bar sostenibile ed efficiente, che faccia leva su prodotti e produttori locali”. Il focus della distilleria è, oggi, rappresentato principalmente da whisky e liquori, che Julina & Co producono con private label. Tra gli altri distillati, hanno realizzato, sempre per terzi, gin, vermouth e bitter, anche a bassa gradazione, vista la tendenze “low alcol” degli ultimi anni. Ma in precedenza Julian ha approcciato anche il mondo del distillato da vinaccia, soprattutto in occasione delle diverse collaborazioni con altri locali. “Per quanto si possano ottenere ottimi drink, c’è uno scoglio grosso da parte del cliente”, spiega. “Perché, se da un lato il consumatore finale identifica la grappa come un distillato da bere liscio dopocena, dall’altro c’è un fattore tecnico, che lo allontana dalla scelta miscelata”. Se si opta per un cocktail con la grappa come distillato predominante, il risultato può non essere capito, tanto meno gradito. “La grappa all’interno di un drink, venendo a contatto con l’acqua, tira fuori a volte aromi derivanti dalla materia prima, la vinaccia, che non è sempre piacevole”.

Come ovviare? “Per stemperare il primo impatto, quello dell’odore, ho cercato di mascherarla aggiungendo un frutto esotico, o un liquore, o un Vermouth o un Campari, creando una sorta di Negroni, oppure spruzzando a bordo del bicchiere oli essenzial, al limone o al mandarino”. Ma in questo modo non si rende onore al grande (e unico) distillato taliano. “Dalle mie parti la grappa non ha preso piede nella miscelazione, ma credo che nelle zone dove è nata, tra il Veneto e il Trentino, possa dare risultati migliori”. In effetti a Bassano, la storica distilleria Nardini, per esempio, ha ideato il Negrini cocktail, a base di grappa bianca, bitter chinato e Vermouth rosso. Qualcuno conoscerà il più noto Ve.n.To, acronimo di Veneto e Trentino, per rimarcare la territorialità del drink, la cui ricetta è stata pubblicata sulla Lista Ufficiale dei Cocktail IBA 2020 (l’unica a base di grappa). Nel tumbler gli ingredienti sono grappa bianca morbida, succo fresco di limone, honey mix, un cordiale alla camomilla e, a chi piace sour, il bianco d’uovo. O ancora come il Gra’it Witch, realizzato con la grappa Gra’it, ottenuta da un blend di sette grappe fra le più celebri d’Italia (Barolo, Moscato d’Asti, Prosecco, Amarone, Brunello, Aglianico e Nero d’Avola), in aggiunta sciroppo di zucchero, Galliano, Triple sec e top con birra allo zenzero. Le ricette in giro sono tra le più variegate, l’obiettivo più chiaro è quello che si pone GrappaRevolution, l’associazione che raggruppa varie distillerie e promuove la grappa come simbolo dello stile italiano nel panorama dei distillati, invitando in consumatori a berlo liscio ma anche miscelato. I progetti sono tanti, ma di questi e di altri ne parleremo sul prossimo numero. Intanto, “aggràppatevi” forte.